SCRITTI DI RENZO CRESTI:
LA PRESA DEL SUONO. PLAYTIME. TEATRO E DANZA, L'ULTIMA PRODUZIONE
LA PRESA DEL SUONO
"La presa del suono, ovvero la capacità di dar corpo all'instabilità /.../ la genialità di Mencherini consiste nel fatto che sa assorbire la nozione di caso nel quantum di invarianza, ossia invarianza e perturbazione convivono fin dall'inizio /.../ si realizza una sorta di allucinazione semantica, perche' si evoca un universo significativo molteplice /.../ la scrittura musicale e' un abstractum, ma in Mencherini, attraverso connessioni e inerenze col vissuto, diventa un concretum e cio' che rinvia alla sfera dei fenomeni naturali e' la gestualità." (Note nel CD monografico Fernando Mencherini, Edipan PAN CD 3037D 3037, Roma 1994).
L'informazione che produce una singola parte musicale e' definita, ossia ogni frase, accordo o sezione del pezzo e' in se' determinata, ma messa insieme alle altre diviene indeterminata, perche' puo' essere interpretata in mille modi, in un gioco ermeneutico infinito. Il rapporto fra le parti e l'intero e' complesso (nel senso di Atlan, per il quale la complessità comporta comunque un'ineliminabile parte di ignoranza), non si sa mai se siamo in presenza di un insieme e di un'unita', si hanno certezze sul microcosmo, ma ci si perde subito appena ci si allontana, naufragando nel circolo delle letture differenziate, verso un'apertura sintattica e semantica che ci sorprende. Caravan trio, per clarinetto, sassofono e pianoforte (1989) e' uno dei tanti pezzi esemplificativi.
Come scrive Monod, nel suo celebre libro su Il caso e la necessità: "la struttura compiuta non e' del tutto pre-formata /../ in un certo senso la sua costruzione epigenetica non e' una creazione, bensì una rivelazione /.../ il caso e' captato, conservato e riprodotto dal meccanismo dell'invarianza e trasformato in necessità". Sembrano parole scritte per le composizioni di Mencherini. Si può prendere a esempio Un giardino a mente vuota per arpa, strumenti a fiato e percussioni (1990), dove la materia sonora vive in un tempo incerto, in continua evoluzione e trasformazione, "casuale" e necessaria.
Bisogna distinguere le opere degli anni Settanta/Ottanta da quelle degli anni Novanta, infatti nella prima fase Mencherini, in qualche modo, regolava il caos di partenza introducendo norme comportamentali per i suoni, mentre nella seconda fase il ricorso a griglie di controllo del suono e' abolito, così il suono viene liberato dai meccanismi di lettura. Nell'ultimo periodo, soprattutto negli ultimi due anni di vita, Mencherini tendeva a rendere quasi filiforme la complessità, curvandola in una sorta di spirale armonica.
Il vorticoso intreccio di linee che si con-fondono in un gomitolo sonoro non sparisce: Vortex per flauto, violino, 11 archi e vibrafono del 1992, comprende circoli viziosi rigenerativi, ciascuno dei quali consiste in due o più strumenti che partecipano a una interazione cumulativa, ogni strumento e' una sorgente d'energia che proviene dai suoi stessi processi metabolici, mentre l'azione frenante del sistema sta nell'imporre un numero finito di 8 battute alla forza generativa dei circoli. Ma accanto alla visione complessa e a-centrica si fanno avanti, in maniera sempre piu' esplicita, nuove esigenze: nello stesso anno Mencherini compone How was it there? dove si lascia contagiare da un suono centrale, il RE. Prendiamo inoltre ad esempio il pezzo per due chitarre Spaceless rhapsody n. 2, un brano molto diverso da quello di dieci anni prima, meno interessato a questioni tecniche (sia strumentali, sia compositive) e più "leggero" nel modo di farsi e di porsi, anche con andamenti tonaleggianti, divertito e divertente, rapsodico in senso pieno.
Anno importante il 1992: continua l'indagine sugli strumenti e la matericità del suono grezzo che porta a un'esplicita gestualità, che rende corposi i suoni e li teatralizza. Spesso proprio dal gesto nasce la musica, privilegiando il corpo rispetto alla mente. Divaricanto 3 per sax baritono e pianoforte (1992) e' un brano sprovvisto di un punto di equilibrio a causa di diverse durate temporali sovrapposte, quindi il pezzo sobbalza, si agita gesticolando, come un corpo elettrizzato.
I suoni di Mencherini sono materia viva, cosalità organica, al di qua delle sovrastrutture linguistiche. La musica di Mencherini toglie alla materia ogni convenzionalismo storico, anche quando i riferimenti agli stilemi del passato sono evidenti (come nelle Sei Danze per violino), il filtro e' sempre più importante dell'oggetto preso, il nuovo contesto e' in grado di far suo il riferimento. La musica dell'Autore marchigiano toglie alla materia ogni riferimento psicologico e ideologico. Più che riferimenti alla storia della musica, Mencherini mette in atto una geografia musicale, dove gli stilemi storici convivono in uno spazio comunitario, formato da compresenze a carattere gestuale.
Il concetto di materia musicale non e' inteso in senso negativo, non viene visto come denunzia e impossibilità a una costruzione logica (com'era per la musica negativa degli anni Sessanta). La materia rivendica il valore delle cose più vicine: sa bene Mencherini che la vita dello spirito libero e' una vita nella prossimità, ch'e' già un sottrarsi alle aporie della speculazione e alle codificazioni di una presunta realtà. Più si e' vicini a un pensiero igienico, un vivere ecologico, e più si e' lontani dai meccanismi burocratici che governano le istituzioni e la vita mercificata. Il rifiuto della visione idealizzante del Logos avvicina Mencherini a John Cage: la sottaciuta premessa alla rivoluzione cageana e' che le nostre stesse orecchie debbano farsi strumenti musicali. Questa e' la lezione che Mencherini ha saputo far sua; non ha ripreso ingenue prassi aleatorie, ma il forte senso della libertà, il contatto vitalistico e igienistico con le pulsioni del cuore e della mente. In fondo Cage ribadisce un'ovvieta' che in musicisti quali Mencherini diventa un prodigio, ossia che la musica e' il mondo dei suoni. Mencherini non ripropone l'estetica cageana riciclata, non appartiene al vecchio e ormai patetico movimento Fluxus, si e' avvicinato a Cage quando il pensiero del maestro americano si e' irrobustito e ha trovato avalli anche in altri settori della cultura, dalla riflessione filosofica alla ricerca scientifica.
La musica di Mencherini si presenta con un grado d'ordine talmente elevato da non poter essere compresa integralmente; il raggiungimento del sistema macroscopico non avviene in maniera consequenziale, infatti nell'articolarsi della macro-forma si assiste a incrementi di ordine locale, allo sviluppo inatteso di meccanismi particolari, di elementi molecolari a direzionalità molteplici (come in Playtime V, "La presa del suono", per flauto e violino (1988), dove l'espansione di elementi embrionali spezza ogni logica rettilinea). La capacità di dar corpo all'instabilità e' uno degli aspetti miracolosi dell'operare di Mencherini..
Il metabolismo musicale dei brani e' organizzato secondo un grande numero di vie, divergenti, convergenti o cicliche (come in Rami del RE per 15 strumenti (1990), dove sistemi in contrasto fra loro vengono a comporre uno spazio sonoro a più dimensioni). Ciascuna di queste vie comprende una sequenza di reazioni, in una prodigiosa vitalità di aspetti microscopici che possiedono un'energia di attuazione capace di rapportarli fra loro, e' un legame covalente, una relazione che può avvenire a velocità differenti; ne deriva che le interazioni possono manifestarsi immediatamente o dopo un certo periodo di tempo, in maniera esplicita o sottintesa. Ognuna di queste piccole parti ha un contenuto di invarianza, cioè una capacità di fornire, da sola, una certa quantità di informazione (capacità che in fisica viene definita "diavoletto di Maxwell"). Nella musica di Mencherini, un aspetto della struttura, che ha tutte le caratteristiche per abbinarsi a un altro, spesso sfugge a questa relazione per instaurarne una più strana e inattesa, in quanto i percorsi del codice che sottostà ai movimenti delle parti non sono ordinati in modo causale, ma si lasciano guidare da segrete simpatie. La "gratuità" delle interazioni permette un campo di esplorazioni infinite e una rete di interconnessioni che rimandano alla cibernetica microscopica.
Chiunque abbia ascoltato qualche composizione di Mencherini, specialmente quelle scritte a cavallo fra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, avrà avuto delle difficoltà a seguire lo svolgersi dell'architettura sonora, proprio perchè l'autogenesi molecolare del codice musicale conduce a una fittissima ramificazione di suoni che svia e sbilancia costantemente l'ascolto (e spesso anche la lettura della partitura). La genialità di Mencherini consiste non tanto nella stesura del codice di supporto (che anche altri compositori sanno preordinare benissimo) e neanche nell'adozione della casualità in senso cageano, quanto nell'assorbire la nozione di caso nel quantum di invarianza, ossia invarianza (codice di partenza) e perturbazioni stanno insieme. Una volta messo in moto il meccanismo dell'autogenesi e' impossibile sapere in anticipo come si comporterà. Il pensiero di Mencherini, in profonda sintonia con la filosofia contemporanea, accetta l'ordine e il dis-ordine o il contro-ordine, ingloba i termini opposti in maniera naturale, assolutamente non metodologica.
La lettura che Mencherini fa del materiale sonoro e' a zig-zag, si tratta di una visione in diagonale, a-centrica, localizzata di volta in volta su punti e momenti differenti, così come negli aforismi nicciani, nelle parole a radici multiple di Joyce, nella de-soggettivazione dei personaggi kafkiani. Come nella produzione di questi grandi letterati, anche in Mencherini il mondo ha perduto il suo asse, il punto univoco di fuga, l'ordinamento simmetrico e reversibile; l'opera eccede e decentra ogni volontà unitaria attraverso il principio mobile della molteplicità, dove per molteplice non si intende solo un insieme differenziato di fatti, ma la molteplicità che si fa soggetto, ossia il multiplo dev'essere inteso come sostantivo.
La scrittura mostra lo spazio del segno aperto a n dimensioni e la gestualità e' la principale artefice della spazializzazione del tempo. Il gesto si compie in un attimo-spaziale, diviene fondamento del suono, elemento non aggiunto, ma che accende la materia sonora, la fa lievitare. Come in Estrada, anche in Mencherini si avverte l’esigenza della ricerca e dell’invenzione, il richiamo alla primordialità della fantasia e la liberazione dell’atto sonoro che sfocia in un una musica organica, naturale, biologica, corporea, che instaura una corrispondenza fisica non solo con la materia, ma pure con l’esecutore e con l’ascoltatore.
Il segno porta con sè il suo contrario e lo sguardo d'abisso! Nel pezzo per voce e pianoforte La religione del suono (1989), la voce ha una vocazione lirico-oracolare, svincolata dal discorso narrativo, che conduce a una dimensione (e)statica.
PLAYTIME
L'indagine strumentale rappresenta il primo aspetto importante che Mencherini ha affrontato, in composizioni come Notturno per contrabbasso (1979), Notturno volgare per flauto (1980), Cellophone per violoncello, Per limina per pianoforte (1984), Crazy jay blue per clarinetto (1985), ecc. , dando un contributo fondamentale a quel Rinascimento strumentale ch'è stato uno dei temi forti degli ultimi decenni e che, fra l'altro, ha costituito il fulcro della Rassegna di Nuova Musica di Macerata, a cui Mencherini ha dedicato tante energie.
La scrittura musicale di Fernando Mencherini è chiara e limpida, anche se l'agilità richiesta all'interprete è notevolissima, in quanto l'Autore ricerca spesso nuove possibilità strumentali, come armonici artificiali e trilli d'armonici molto difficili all'esecuzione che, pur coinvolta in un parossistico virtuosismo, deve risultare cantabile e brillante, in ogni caso sempre funzionale ai processi strutturali
Nei brani citati si notano anche dei tentativi di canto che si annodano in filamenti (Soli filamenti per fagotto e pianoforte, del 1983), si tratta di un canto che vuole uscire dai nodi sonori che lo legano, che lo con-fondono proponendo strade e prospettive differenti, le quali non portano da nessuna parte (Playtime n. 1 , "Alex in Mongolia", per due chitarre del 1984). Il tempo non è lineare, ma circolare, il contrappunto strumentale gira su se stesso (Quartetto n. 3) producendo una spazializzazione temporale nella quale le parti strumentali si dis-pongono.
La prima fase compositiva proprio per le esigenze legate alla ricerca strumentale, è spesso incentrata su brani solistici o in duo (come il poetico Dulcedine blanda per due chitarre del 1982): si tratta di un virtuosismo positivo che, pur nella complessa articolazione polifonica, lascia intravedere sempre il desiderio di canto (Cellophone per violoncello del 1983), un desiderio che ancora non esce allo scoperto, per i problemi legati alla tecnica strumentale e per la poetica della complessità, ma che cova sotterraneo. Questo modus operandi persiste anche nella seconda metà degli anni Ottanta (Playtime n. 2, "Alcune piccole notti", per clarinetto basso e contrabbasso del 1986).
In La comédie magnétique (1986) Mencherini pone in amoroso confronto materiali diversi, da questo incontro/scontro prende corpo la com-posizione (proprio in senso spaziale), fatta di intervalli tesi e di timbri volatili: una commedia umana che si svolge su un campo di forze magnetiche.
A proposito di umanità e della (conseguente) voglia di canto si ascolti l'originale pezzo Cruelly love per soprano (1985), dove urla, voci e richiami si distillano in un canto concentrato eppur stralunato.
Il riuscire a collegare inscindibilmente, nel profondo, la ricerca delle nuove possibilità strumentali con le esigenze compositive è stato il punto vincente degli anni Ottanta. Il virtuosismo, fin parossistico, fa sempre parte integrante della progettualità, è una sorta di filo rosso che cementa i percorsi strutturali. Si ascolti Rite in progress per pianoforte (1988), dove il virtuosismo è acrobatico e ha la funzione d'intrecciare le libere e fantastiche figure che irrompono nello spazio sonoro.
La struttura si dispiega a ventaglio, è possibile quindi andare verso destra o verso sinistra, con percorsi non rettilinei ma labirintici, almeno fino agli ultimi pezzi, quando alcune cose, come vedremo, cambiano. Ma ventagli e labirinti sarebbero solo un gioco intellettuale se non fossero sorretti da una tensione davvero eccezionale: in tal senso Mencherini è stato veramente un'eccezione per come ha saputo far ribollire la materia sonora di umori e di fermenti vitali, alla ricerca di un lirismo tormentato e paranoico. Si ascolti L'arcogaio per violino (1989), dove i frammenti che circolano, a velocità differenti e in più direzioni, pulsano forte come un cuore pazzo, attratto irresistibilmente dalla voglia di cantare.
Da anni il pubblico s'è accorto di aver di fronte dei compositori da salotto, che scrivono con il lapis; il pubblico è borghese e quindi è ben educato e non fischia, ma si allontana; il pubblico della musica contemporanea in realtà non esiste. E non esiste perché è stato allontanato dalla musica contemporanea stessa, non per la sua difficoltà, ma per la sua nullità dal punto di vista umano. Fate ascoltare un brano complesso, ma ricco di fermenti vitali e il pubblico si accalorerà, ascoltate un pezzo di Mencherini e sarete portati in regioni sconosciute, sarà un'esperienza di vita. Fra i tanti esempi che si potrebbero citare, voglio prendere Semen per flauto solo (1989), dove materiali di varia natura si alternano secondo un montaggio libero e fantastico (il Semen è il più importante modulo di disegno non geometrico di Giava Centrale, è il simbolo della divina energia e deriva dal concetto indiano di creazione).
Le regioni della musica di Mencherini sono ricche come i fondali marini, tormentate come cime di montagne rocciose, labirintiche come un delta sconfinato. Come lo Zarathustra di Nietzsche, Mencherini potrebbe dire:
"canterò la mia canzone per chi ha orecchie per l'inaudito /.../ amate gli enigmi /.../ tutte le cose preferiscono danzare sui piedi del caso /.../ bisogna portare con sé il caos per poter generare una stella danzante."
Come Nietzsche, Mencherini ha scardinato un sapere normalizzato, ha saputo innovare rimanendo fermo, con un'operazione in verticale. Certi elementi che potremmo definire "orientali", come il tempo immoto, una temporalità circolare che scava in se stessa, in realtà non provengono da un improbabile estremo oriente che Mencherini non ha frequentato, ma sono elementi che appartengono alla natura stessa di Mencherini, al suo modo di guardare il mondo. In certe partiture si nota un senso dell'esoterico, come in Playtime IV per due sassofoni (si ascolti tutta la serie, bellissima, dei Playtime). Se c'è un'influenza questa è di Giacinto Scelsi (esemplare il tal senso, ma atipico nella produzione di Mencherini, è il pezzo La religione del suono per voce recitante e pianoforte del 1988).
Alla ricerca di un fuoco interiore, questa è stata la strada di Mencherini, percorsa con una spiritualità che nulla aveva di confessionale e neanche di consueto, con una religiosità laica che in fondo nient'altro è che amore per la vita. Si ascolti I segreti del tempio per viola (1988) dove si presenta uno spazio/tempo (e)statico nel quale s'innalza una sacra canzone, come intonata in lontananza, proveniente da epoche arcaiche.
Mencherini è stato affetto dalla vita, in modo totale e morboso: questa è stata la sua croce, la sua condanna. Questo, e solo questo, è stato ciò che ha permesso alla sua arte di innalzarsi al di sopra della tecnica, pur mirifica, e diventare umana.
Il vivere realmente nelle viscere della terra ha fatto sì che la Madre Terra se ne sia innamorata e lo abbia chiamato a sé.
TEATRO E DANZA
Il 1993 vede la realizzazione del primo balletto, quasi per caso, sfruttando la musica delle Sei danze per violino, su invito della Compagnia di danza Arbalete, con coreografia di Claudia Monti e Giovanni Di Cicco.
Il balletto s'intitola Operai ed è ispirato all'omonima poesia di Rimbaud. Come scrive Elvira Bonfanti, su Il Giornale del 20 Maggio 1993, dopo la prima esecuzione "si tratta di una danza che non è solo una danza e che sembra desumere dallo spazio la propria gestualità. Dal teatro, o quantomeno dalle altre arti visive venivano poveri oggetti: biciclette, una palla, una scala, la proiezione di un cartone animato, lo spezzone di un film, elementi che s'incorporano nella coreografia."
L'anno successivo vede la realizzazione di ben tre balletti (una forma che prende sempre più attenzioni, per la carica immaginifica e gestuale che si collega intrinsecamente alla musica di Mencherini): Le zattere, sulla musica dell'omonimo pezzo per violino e pianoforte, Per la finestra nuova, ancora su un pezzo preesistente per arpa e viola e, infine, il balletto in quattro movimenti Il meridiano, ispirato a Paul Celan, tutti lavori realizzati dalla Compagnia di danza Arbalete. I 4 movimenti de Il meridiano sono: Spaceless rhapsody per flauto, Le zattere, per violino e pianoforte, Gli automi spirituali per 4 clarinetti e Per la finestra nuova per arpa e viola. Il discorso di Darmstadt del 1960, tenuto da Celan, in occasione del conferimento del premio Bucher, costituisce la struttura drammaturgica del balletto. Questo testo, col suo carattere problematico, l'incedere dubbioso e l'argomentazione ostinata, implica una ricerca tormentata sulla natura e sul destino della poesia e, a un tempo, un utopico progetto di esistenza "sulla strada dell'impossibile".
Il brano Gli automi spirituali così si intitola perché gli strumenti hanno movenze che sembrano quelle di un robot, con un'anima però, vitalizzate da esplicite esigenze spirituali: non si tratta - mai in Mencherini - di un mero automatismo dei suoni. Il pezzo è lungo e sfrutta bene timbriche e fraseggio dei quattro strumenti della stessa famiglia, riuscendo a creare varietà in movimento e proponendo anche cadenze virtuosistiche (con vaghi accenni a un jazz stralunato).
Strano il lavoro di Sexy Sadie, una flash-opera, dove il rigore svanisce e tutto viene giocato sul filo del divertimento, dell'ironia e del ridicolo: Miss Sadie, una sgualdrina che si era pentita, ritorna alla vita di sempre, ballando con il suo marinaio di turno. Il clima musicale dell'operina è vicino a quello settecentesco de La serva padrona e non è un caso che Pergolesi sia stato un autore molto amato da Mencherini.
Nel 1996, con la coreografia di Daniela Biava, della Compagnia Arbalete, va in scena il balletto Ghirigori ovvero Io non guardo mail il cielo, 5 danze sulla musica delle Danze armoniche per pianoforte, ispirate al personaggio di Maria Reiche (1 Le gambe sono qualcosa su cui puoi sempre contare - 2 Appollaiata in cima a una scaletta d’alluminio - 3 La matta delle linee - 4 Senza ossessioni mistiche - 5 Davanti alle telecamere divento Elisabeth Taylor).

L'ULTIMA PRODUZIONE

Già in How was it there? si può notare (siamo nel 1992 ricordiamolo) il segno di "svolta", passando da materiali che si urtano, creando situazioni sempre nuove, secondo un disordine o equilibrio instabile, a materiali più rappacificanti, dove lo scontro non c'è più in quanto tale, ma è solo pensato, e le linee sonore obbediscono a dei comandi che le costringono a deviare, evitando ostacoli. Si tratta di un controllo del materiale che rimanda, seppur in maniera diversa, a ciò che Mencherini faceva all'inizio della sua produzione. In How was it there? c'è la volontà di illuminare meglio i punti dei percorsi sonori, fino a far intravedere delle vere e proprie figure musicali, comunque il centro è assente e, sul piano formale, la composizione tende a gonfiarsi e a sgonfiarsi casualmente. La gestualità rimanda in maniera esplicita a una drammatizzazione e i suoni stessi visualizzano scene drammatiche (non è un caso che, l'anno successivo, Mencherini approderà al balletto). Sempre nel 1992, con il brano Le zattere per violino e pianoforte, si nota la ricerca di un bilanciamento temporale di due unità musicali contrapposte, nel tentativo di creare un centro d'ordine.
Dolcissimi piccoli canti si ascoltano in Per la finestra nuova per arpa e viola (1993), la finestra è proprio quella che, da uno stretto e formicolante intreccio contrappuntistico, fa intravedere elementi più chiari.
La volontà di creare degli aggregati sonori omogenei e non soltanto in urto fra loro, di comunicare una convivenza e non più un intreccio casuale, si nota in Tutti i cappotti per orchestra (1994), soprattutto nel terzo movimento, dove anche a livello espressivo, si comunica uno stato di tranquillità.
Mencherini lavora spesso con sistemi di relazioni fra le frasi musicali, lavoro di giustapposizioni e di sovrapposizioni che gli ha dato una forte consapevolezza del concetto di misura, infatti sovrapponendo due o più frasi di diversa lunghezza si pongono diversi problemi che Mencherini risolve in ciò che chiama "ritmo smisurato", ossia una misura ritmica mutante che struttura il brano in una sorta di non equilibrio, perché manca unità nel movimento, anche quando c'è fissità armonica (fissità, senza direzionalità). Quando il ritmo rimane costante allora appaiono figure di danza a Mencherini particolarmente care.
Mencherini abbandona la logica sequenziale che si articola partendo da un ingresso qualunque per approdare a uscite molteplici, non dipendenti né dall'ingresso, né legate fra loro, per uniformare i percorsi dei suoni, come un vero tappeto sonoro, dove i fili si intrecciano in una solidarietà reciproca. Non si tratta di abbandonare l'auto-organizzazione fantastica del materiale musicale, ma di indirizzarla a una sorta di equilibrio ritrovato, che ingloba il continuo auto-rinnovamento e l'auto-trascendenza del materiale, arrivando a una plastica complessità. Elemento importante per l'approdo a una forma più rotonda e univoca è il parametro armonico, quasi del tutto assente finora.
Lo studio degli agglomerati armonici stava impegnando molto Mencherini ed è veramente drammatica la sua scomparsa, in quanto si stavano intravedendo dei risultati che il destino ha voluto fermare. E' un'armonia del tutto personale che va a incrementare lo scavo in verticale, bloccando il tempo in una sorta di momento rituale, carico di spiritualità.
Si tratta comunque di una fase creativa segnata da composizioni molto dense e importanti, come La quinta stagione (1994), per clarinetto e quartetto d'archi, in cui intersecazioni di brevi linee a note lunghe creano una ricca polifonia, sulla quale si muove, ondeggiando, il clarinetto. E' questo un pezzo lungo e articolato, con alcuni ostinati che creano momenti ossessivi, in un clima musicale generale assai drammatico. Sempre al 1994 risale anche Eleven per violoncello, dalla straordinaria forza nervosa e intensità espressiva. Brano duro e scarno, roccioso.
Il 1995 è occupato, in gran parte, dagli Studi sul Disoriente, dedicati a Maria Reiche e stesi in diverse versioni strumentali. Maria Reiche è la matematica e geografa tedesca che ha passato la vita a studiare, nel deserto peruviano, il monumento archeologico conosciuto col nome di "linee Nazca"; la stessa ansia dello studio, lo stesso rovello geometrico s'impadroniscono di Mencherini in questi suoi Studi sul Disoriente. Dello stesso anno è anche la versione per due pianoforti e nastro magnetico di Tutti i cappotti, un affresco visionario, pensato a movenze, con una ritmica a scatti che comunica un nervosismo che a volte si placa in atmosfere di attesa, cangianti e sospese, sostanzialmente drammatiche.
Legate al rovello geometrico sono anche le Sei danze armoniche (1996) per pianoforte, in cui Mencherini adotta una scrittura ritmica, costituita da figure che si ripetono, e armonica, basata sull'uso di quinte e ottave. La prima Danza è vicina al pianismo meccanico di Nancarrow, mentre la seconda è più minimal, la terza più percussiva. Eclatante è il gesto della quarta Danza, mentre la quinta ha un carattere più intimista, è una sorta di spirale che dà l'illusione del movimento, ma rimane ferma; questa fissità viene poi accentuata nell'ultima Danza.
Sempre nel 1996, in seguito all'incontro con la poesia di Edoardo Sanguineti, Mencherini approfondisce la ricerca sulla voce, che aveva già sortito effetti molto intensi (dopo il citato Cruelly love per soprano) con La terra è un angelo (1990) e Viaggio intorno alla terra (1995), due cantate per sei voci e pianoforte.
Dalla lettura della raccolta di poesie Laborintus il compositore ha ricavato un'impressione di solennità e di distacco temporale. La lentezza del verso, il suo smarrimento, la sfasatura delle voci, la polifonica sincronia di interventi gli hanno suggerito una musica straniata, lontana e triste, che tende a regredire verso un'arcaicità opposta alle frustrazioni del tempo presente.
Quattro sono le poesie di Laborintus musicate da Mencherini: Ah il mio sonno per sei voci miste, Ritorna mia luna per sax soprano e tre voci maschili, Ellie mia Ellie per cinque voci e pianoforte, Canzone metodologica per cinque voci miste. Il lavoro compositivo di Mencherini consiste nel ricomporre suoni strappati al loro contesto poetico e riproposti in libere associazioni, sempre tenendo d'occhio un ordine armonico, affinché giungesse chiaro il cantilenare ossessivo e salmodiante presente nel testo di Sanguineti, creando un continuum senza direzioni ch'è il labirinto.
Nel primo lavoro, Ritorna mia luna, si nomina un "bivio" ch'è inteso da Mencherini come simbolo di un "svolta" nel suo nuovo modo di comporre, mentre in Ah, il mio sonno, ricorrono parole come "lividissima terra /.../ corpora mortua /../ terre /.../ pietre /../ madre, che rimandano al senso rituale e panico del creato, così forte nell'ultimo Mencherini, senso particolarmente accentuato nei versi di Ellie mia Ellie: "preghiera della meditazione /.../ un mysterium tremendum /../ esperienza terrificante dei conflitti." Non senza commozione rileggiamo queste parole che il compositore ha voluto scegliere. Con il brano per due fisarmoniche, intitolato La huella (1996), che conosce varie versioni strumentali, Mencherini si sposta dalla complessità a una "semplicità" fatta di strutture più lineari, più armoniche e più cantabili. I nodi sono, stavolta, davvero sciolti. Il clima espressivo è struggente, in quanto si tratta di una melanconica danza che gira su se stessa, a vuoto. La melodia quasi zingaresca, dal sapore mediorientale, viene dilatata, ma proprio nel suo dilatarsi si blocca, ieratica, in lunghe e statiche fasce di suoni.
Ancora un andamento a danza, lento, con accenti popolareschi costituisce la sostanza tecnico-espressiva della Canzone periferica (1996, anch'essa in varie versioni), una specie di "danza in tondo" per le numerose riprese variate, dalla ricca polifonia sempre elegantemente controllata dal punto di vista armonico. Il tono rimane melanconico, come, in generale, in tutti gli ultimi pezzi scritti dal Maestro.
Nel Quartetto IV per archi, sempre del '96, il carattere diventa ancor più teso e drammatico, per l'inserimento di alcuni ostinati ritmici e della scrittura assai densa, che conferiscono al pezzo un tono ossessivo, come nell'attesa di una sciagura. Questo Quartetto ha una struttura quasi omofonica, tutto viene catturato in una ragnatela sonora, talmente scandita che ogni frase, ogni linea coincide con la serie ritmica. La conseguenza è un trascinamento sonoro, un labirinto fonico, che si risolve in un suono dolente che collega struttura e vita.
Stile oramai prettamente armonico è quello del pezzo per pianoforte Abuse of power comes as no surprise (1997), in cui l'andamento strumentale costruisce un grande respiro, interrotto da momenti di ritmica incisiva e ripetitiva, che rimanda a movenze di danza. Ricco di fantasiosa immaginificità il pezzo, nel suo dispiegarsi, nel flusso abbandonato dei suoni, comunica una tristezza e un disagio esistenziale molto forte. Forse troppo semplicistico sarebbe collegare tale tristezza e disagio a un presagio della fine.
L'ultimo lavoro lasciatoci da Mencherini s'intitola CAP 65100 ed è per organico sinfonico: si tratta di un'alternanza di sezioni freneticamente formicolanti, con suoni veloci, e parti più calme e statiche che vanno a formare fasce armoniche. Il pezzo è molto intenso sia dal punto di vista del linguaggio musicale sia da quello espressivo. Su questa nuova strada a Mencherini si aprivano paesaggi intriganti, da sondare con quell'intuito geniale che aveva, per approdare a risultati che potevano essere ancora straordinari; comunque quello che ci ha lasciato è già molto: una cospicua e interessante produzione che copre un arco di più di vent'anni, ma soprattutto un modo raro di essere musicista, affetto dalla vita.
Caro Lupo della Steppa, noi che abbiamo conosciuto da vicino la tua arte continueremo a studiarla, ad ascoltarla, a suonarla. Noi che abbiamo avuto la fortuna di vederla nascere, sappiamo con quale profondità e con che verità umana quest'arte è nata. A noi il severo e alto compito di testimoniare il tuo percorso di uomo e d'artista.
Renzo Cresti